Un Piano Marshall per la cultura
- Scritto da Aldo Cazzullo
- Pubblicato in Attualità
Teatri, case editrici, new media: Renzi dovrebbe occuparsi dell'industria culturale.
Troppe volte si è sentito annunciare un “Piano Marshall" per qualcosa. Ma se c’è un settore che oggi avrebbe bisogno di un ambizioso piano di investimenti, è proprio l'industria culturale: arte, teatro, cinema, informazione, comunicazione. Un’industria che in tutto il mondo produce lavoro, e in Italia solo precari. Non si tratta di regalare denari pubblici, che servono solo ad arricchire pochi produttori e a far vivere nella bambagia figli d'arte senza talento. Il vero problema è che l'Italia ha i consumi culturali più bassi dell'Occidente; e non saranno certo le “pubblicità progresso” con i padri che leggono le favole a cambiare le nostre abitudini. L'idea di letta di detassare duemila euro all'anno spesi nei libri era ottima; peccato non sia stata realizzata. Ma occorre molto di più. Serve — mutato il moltissimo che c’è da mutare — un piano come quello varato negli Anni Trenta dall'America della depressione, per far lavorare artisti e giovani intellettuali, e nello stesso tempo favorire la crescita culturale del Paese. E quindi biblioteche pubbliche, mediateche, banda larga. Non è possibile, poi, che il Louvre abbia più visitatori di tutti i musei italiani messi assieme; ogni sabato sera dovrebbe essere una notte bianca, con i musei aperti. Non è possibile che a Londra si vada a teatro a ferragosto e a Roma i teatri chiudano ai primi di giugno e riaprano agli ultimi di ottobre. A Firenze ci dovrebbe essere una Lectura Dantis ogni sera, a Napoli un teatro che dia solo Eduar- do, un cinema che trasmetta solo film di Totò, un locale sempre aperto dedicato alla musica popolare. Il caso dell'Arena di Verona, che non sarà un tempio della lirica ma ha risanato i conti e dà uno straordinario contributo a quella che è diventata la quarta città turistica italiana, è esemplare. Turismo non significa solo alberghi e ristoranti; gli stranieri scelgono dove andare in vacanza anche per la cultura, il divertimento, e anche per l'attenzione ai bambini, di cui l'industria dello spettacolo in Italia si occupa poco. Liberiamo energie, facciamo lavorare i ragazzi delle Accademie, diamo una chance agli artisti disoccupati, riscopriamo tradizioni come il teatro e i giochi di strada. E lavoriamo in profondità, a cominciare dalla scuola, per ricostruire il gusto della lettura, l'amore peri libri, non importa se di carta o elettronici. È un'utopia? Forse. Ma è la migliore risposta che possiamo dare ai ragazzi che oggi mandano il curriculum ad aziende editoriali, cinematografiche, teatrali la cui principale preoccupazione è licenziare e assumere per concorso. Mi dicono però che i requisiti siano: lauree con massimo dei voti, master all'estero, conoscenza di tre o quattro lingue... Il rischio è assumere intellettuali, non giornalisti. Con questi criteri un Pino Scaccia, che Antonio Ghirelli considerava il miglior reporter italiano, uno capace di passare da una guerra a un terremoto, in Rai forse non sarebbe mai entrato.
Dieci anni fa moriva Nuto Revelli. Era un ufficiale degli alpini uscito dall'Accademia di Modena e la sua maturazione politica avvenne tra le nevi della Russia. Fu tra i primi ad aderire alla Resistenza, era un comandante esigente e la disciplina della sua brigata era quella di un esercito regolare. Dopo la guerra non capitalizzò le benemerenze resistenziali, si trovò un lavoro e campo di quello. Più tardi, però, vide l'Italia trasformarsi profondamente e perdere la memoria di ciò che era stata. Allora ritornò per raccoglier le testimonianze di mondi che stavano pe scomparire: le lettere degli alpini dispersi nella ritirata, le storie dei partigiani e quel le delle campagne e delle montagne del Nord che il benessere sembrava cancellare. Sono pagine preziose, piene di sensibilità nei confronti dei suoi interlocutori a cui, per la prima volta nella vita, era stata data la parola. Andava in vacanza sulle Langhe, a Venduno. Era un uomo schivo che si riconosceva nell’idea di Italia che aveva il Partigiano Iohnny; «Una cosa alquanto piccola ma del tutto seria». Diceva che la più grande soddisfazione della sua vita fu aver tenuto testa per quasi una settimana, nell'estate del '44, a una divisione corazzata nazista, ed essere citato nel bollettino di guerra tedesco: «Nel settore delle Alpi Marittime, malgrado Yaccanita resistenza dei banditi, la 90° Panzergranadieren....».
Meglio di una medaglia d'oro.
fonte: Corriere della Sera Sette