Logo
Stampa questa pagina

Nella gestione di arte e cultura paga l’efficienza

Un sistema con un servizio di alta qualità. Ancor più che in altre aree del welfare pubblico, il laissez-faire è prevalso sulla necessità di creare un comparto di eccellenza che valorizzasse il grande patrimonio del nostro Paese, e una delle sue maggiori risorse economiche.

In un settore dove gli unici parametri dovrebbero essere la qualità, il talento e le capacità, si è invece proceduto, come in un qualsiasi ministero, con una gestione proiettata al “ribasso”. Accordi tra politica e sindacato hanno prodotto scarsa qualità, bassa produttività e bassi salari a fronte di finanziamenti pubblici crescenti. Negli ultimi tempi con la grande crisi della finanza pubblica, a causa del venir meno dei fondi pubblici che per decenni hanno “risolto” ogni questione finanziaria e tensione sindacale, i nodi di una gestione miope sono venuti presto al pettine.

Quanto accaduto l’altro ieri al Colosseo e negli ultimi tempi in molte altre istituzioni culturali del Paese è la dimostrazione che questo “modello di gestione” del nostro sistema culturale è da superare e non va considerato immodificabile. Il caso del Teatro dell’Opera di Roma è in questo senso emblematico. In un teatro con un’enorme crisi finanziaria - un debito di 30 milioni di euro circa e un deficit, solo per il 2013, di 12,7 milioni di euro - dall’inizio del 2014 si sono susseguiti scioperi e lotte sindacali che hanno permesso a una componente minoritaria di bloccare il progetto di risanamento del Teatro e di compromettere la stagione estiva di Caracalla. In conseguenza di ciò il Teatro ha subito la gravissima perdita derivata dall’abbandono del Maestro Riccardo Muti nel settembre del 2014. In questa situazione oggettivamente fuori controllo il Cda del Teatro ha risposto con una decisione coraggiosa e innovativa, quella di esternalizzare i complessi di orchestra e coro. Da tale decisione è scaturita una lunga e dura trattiva con i sindacati, che ha portato a un accordo sindacale da cui sono venuti risultati veramente molto positivi. L’accordo ha stabilito l’impegno sindacale a non scioperare 

fino a tutto il 2016, sensibili aumenti di produttività, premi legati all’equilibrio di bilancio e, per la prima volta nella sua storia, la creazione di rappresentanze sindacali unitarie elette democraticamente da tutti i lavoratori. E il Teatro sta vivendo una nuova vita. Dalla firma del contratto la produttività, in termini di recite d’opera e balletto, è cresciuta del 28% e non c’è più stata nessuna giornata di sciopero. La certezza ha permesso programmazione e qualità. Il bilancio 2014 si è chiuso in pareggio e quello del 2015 è anch’esso in equilibrio.

Ma è il rapporto con il pubblico che è profondamente cambiato. Si viene a teatro senza la paura della serrata ma per il piacere della musica. E gli incassi sono aumentati del 37% sull’anno precedente. La stagione estiva di Caracalla ha addirittura segnato un + 67%. La campagna abbonamenti in corso è in grande crescita rispetto allo scorso anno. Si guarda al Teatro con altri occhi: sono tornati gli sponsor e, addirittura, grandi mecenati stranieri fanno importanti donazioni. E tutto questo migliorerà ancora nel 2016.

Anche nel settore culturale è possibile cambiare purché si facciano delle scelte innovative che rivedano i vecchi e superati modelli di gestione. E questo nell’interesse generale della collettività, di tutti: lavoratori, cittadini e turisti. In Italia il settore culturale – cioè le aree archeologiche, i musei, i teatri d’opera e di prosa, la danza – rappresenta fedelmente i nostri vizi, ma anche le nostre virtù. Innovare l’arte e la cultura vuol dire far ripartire il Paese.

Sovrintendente del Teatro dell’opera di Roma 

fonte: Il Messaggero

Idea Grafica di Giorgio Papallo.