Brexit, che cosa comporterebbe l’uscita del Regno Unito per la musica live
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Il 23 giugno si voterà nel Regno Unito per decidere se il Paese resterà nell’Unione europea. Le considerazioni su quanto comporterebbe una Brexit, come è stata battezzata dall’unione di Britain ed Exit, riguardano ovviamente anche il settore della musica dal vivo e la rivista Iq ha deciso di intervistare alcuni operatori riguardo agli scenari futuri.
Più difficoltà nell’organizzazione è una delle prime caratteristiche segnalate, ma il punto fondamentale per chi lavora nel settore è che molto, in quel caso, dipenderà anche dai 27 Paesi rimanenti nell’UE. «Dipenderà soprattutto da quanto vorranno rendere la cosa difficile. Se decideranno di rimettere i controlli alle frontiere e rendere necessari i visti questo potrebbe rallentarci moltissimo» ha spiegato per esempio il manager che si occupa di tour Tony Gittins, che ha lavorato fra gli altri con Simple Minds, Depeche Mode e Paolo Nutini.
Per altri, per esempio Rogier Lecluse della società di logistica olandese Saan Trucking, i problemi potrebbero riguardare anche le tariffe: «Il tasso di scambio diventerà ancora più importante. I guadagni sono in euro ma le spese sono pagate in sterline, i costi quindi saliranno». Non ci sarà invece influenza sul mercato domestico britannico.
Altri, come Danny Newby di Big Green Coach, sono più tranquilli: «Se usciamo dall’Unione europea non vuol dire necessariamente che chiuderemo i confini agli stranieri o che l’Europa chiuderà le frontiere ai britannici che viaggiano nei loro Paesi per andare a un festival musicale. Potrebbero esserci più controlli dei passaporti ma ci saranno ancora festival in Europa e gli inglesi vorranno ancora andare a festival non nel Regno Unito».