Il ministro Franceschini dopo i licenziamenti all’Opera di Roma “Non spendo le poche risorse per pagare indennità di frac o umidità”
Tempi duri per il ministero di Dario Franceschini: 1.500 milioni di euro (lo 0,20% del bilancio totale dello Stato) di budget, per il triennio 2014-2016 le previsioni di un’ulteriore calo a 1,4 miliardi e un mucchio di problemi: oggi il tema al dicastero della Cultura è il licenziamento collettivo di coro e orchestra dell’Opera di Roma e il destino futuro delle fondazioni lirico-sinfoniche, un patrimonio artistico a cui lo Stato versa 186 milioni di euro.
Ministro adesso si teme che il provvedimento “lacrime e sangue” di Roma si estenda ad altre fondazioni in crisi. È così?
«No, non ci sarà un contagio. Il caso di Roma è isolato, questo è chiaro. Nessuno degli altri otto teatri lirici in crisi è in quelle condizioni. Ma auspico che in futuro si vada verso situazioni in cui orchestre e coro siano interne ai teatri ma con contratti a termine. Una procedura che potrebbe essere applicata ai nuovi assunti. È un modo per aprire ai giovani e per mettere fine alle rendite di posizione».
Una deregulation del lavoro anche nella lirica?
«Sì, bisogna che i teatri lirici non sprechino più e che si dotino di rapporti di lavoro più moderni. Sono qui per cambiare. Lo Stato dà alle fondazioni 186 milioni di euro, più 125 a quelle in crisi. Per tutto il resto del sistema musicale rimane il 23% dei finanziamenti e parliamo di 29 teatri di teatri di tradizione, 50 festival, tutto il jazz e la musica contemporanea... Bisogna che a questo impegno così sostenuto corrisponda una gestione della lirica più sana. La mia idea è che la lirica vada finanziata perché è una eccellenza italiana ma se lo Stato investe per 14 fondazioni il 47 per cento del Fondo unico per lo Spettacolo, cinema e teatri compresi non è per garantire l’indennità umidità o di frac».
Su questo gli orchestrali dell’Opera di Roma dicono che le indennità ce le hanno tutte le orchestre del mondo, e il loro è uno stipendio normale.
«Lo so, ma aggiungo due cose: produttività e meritocrazia».
È il metodo Renzi nella lirica: regole di lavoro meritocratiche, elastiche e ammazza sindacati.
«Nella mia carriera ho difeso battaglie sindacali giuste ma qui il sindacato si è fatto male da solo: a Pompei con i turisti rimasti fuori per lo sciopero dei custodi, all’Opera dove hanno fatto saltare gli spettacoli a Caracalla con il pubblico ad aspettare e perdite che avrebbero portato il teatro alla liquidazione coatta».
Come ci si sente ad aver licenziato 182 persone?
«Che orchestra e coro dell’Opera restino a casa è da dimostrare. Finora è stato solo prospettato un percorso il cui sbocco finale è che si ricomponga il rapporto con gli stessi professori d’orchestra e coristi, in forma nuova, con una esternalizzazione, che si è resa doverosa, con rapporti contrattuali diversi e trasparenti. Io mi auguro che gran parte degli artisti torni a lavorare sotto forma di cooperativa, società. D’altra parte era l’unico modo necessario anche se doloroso per salvare il teatro da un tracollo vicino».
Ma la causa secondo lei sono solo i lavoratori? Non gestioni incapaci?
«Certo. Le cause di una situazione come l’Opera di Roma sono da rintracciare in una corresponsabilità di un sistema seduto sulla gloria e sulla rendita di posizione. Io quel sistema non lo tutelo, lo cambio. Nella lirica dobbiamo essere competitivi, aprirci a sfide nuove, anche mettendo fine a rapporti di lavoro che non possono cambiare mai. All’estero ci sono orchestre interne ai teatri ma con contratti triennali e quadriennali che poi si ridiscutono. Questo è il modello che mi piace e che permetterebbe anche ai giovani di avere delle possibilità. Guardi Bari, al Petruzzelli, dove c’è stato sempre Fuortes. Hanno fatto le selezioni, i candidati suonavano dietro una tenda. Alla fine hanno preso in maggioranza giovani, perché erano i più bravi. Spero che anche a Roma si arrivi a qualche innesto nuovo».
Ministro ma il Petruzzelli è un’orchestra di secondo livello, e la stabilità del complesso per un’orchestra è sinonimo di qualità.
«Certo. Ma devono essere possibili integrazioni meritocratiche. L’esempio è Santa Cecilia che fa 45 giorni di tournèe all’estero l’anno, bilancio sani... Con fondi e norme come per l’Opera ».
fonte: Repubblica.it