Se le piccole e medie imprese prosperano, l’economia italiana cresce; se sono in difficoltà, l’intero Paese va in crisi. Se c’era bisogno di un’ulteriore conferma di questo assioma, questa è arrivata con la crisi, con il corollario che si vedrà la luce in fondo al tunnel solo quando si creeranno le condizioni che consentiranno alle Pmi di tornare a crescere. Le imprese di piccole e medie dimensioni rappresentano infatti il 95% del tessuto economico italiano e, nonostante le difficoltà poste dalla crisi, dalla burocrazia e dalla fiscalità, continuano a mostrare una grande vitalità, soprattutto quelle che hanno puntato sull’export. Nel settore della meccanica di precisione, per esempio, le società italiane continuano a essere considerate una temibile concorrenza dai colossi tedeschi che, oltre a vantare dimensioni decisamente più grandi e avere quindi una maggiore capacità di spesa per la ricerca e lo sviluppo, possono contare su un’economia domestica che si è lasciata alle spalle la recessione da molti trimestri. I danni causati al settore delle Pmi dai sette anni di crisi sono però enormi. Una fotografia molto dettagliata è stata scattata di recente dal Cerved che nel suo primo “Rapporto Pmi” rileva come dal 2007 a oggi una Pmi su cinque pare abbia chiuso i battenti: 13mila sono fallite, 5mila hanno avuto una procedura concorsuale non fallimentare e 23mila sono state liquidate volontariamente. Numeri altrettanto pesanti emergono dall’analisi della redditività: in sette anni il margine operativo lordo delle Pmi è sceso del 31% e il ritorno sul capitale investito (Roe) si è dimezzato, passando dal 13,9% al 5,6%. Oggi le piccole e medie aziende attive in Italia sono in Italia 144mila e complessivamente hanno un giro d’affari di 851 miliardi, con un valore aggiunto di 183 miliardi pari al 12% del Pil, a fronte di debiti finanziari per 271 miliardi. Secondo i parametri stabiliti dall’Unione Europea possono definirsi Pmi le aziende con un fatturato compreso tra 2 e 50 milioni e tra 10 e 250 dipendenti.
In un quadro tutt’altro che roseo non mancano però le note positive, la più importante delle quali è che ben 3.472 Pmi, in questi sette anni di crisi, hanno raddoppiato il giro d’affari. La maggior parte di queste aziende è votata all’export, da sempre uno dei punti di forza dell’economia italiana e unica vera ancora di salvezza per tutto il periodo della crisi. Secondo un’indagine Istat condotta su 30mile imprese con oltre 20 dipendenti, tra il 2010 e il 2013, il 51% di esse ha visto crescere il proprio fatturato estero e, fra queste ultime, due su tre sono riuscite a compesare il calo del fatturato domestico con i risultati conseguiti sui mercati internazionali.
L’altra buona notizia è che le Pmi sopravvissute sono più robuste e hanno una situazione finanziaria meno rischiosa. Secondo quanto dettato dalle nuove regole di Basilea, hanno infatti continuato a ricevere sostegno dal sistema bancario solo le imprese più solide, mentre molte di quelle che hanno chiuso erano già in crisi prima dello scoppio della bolla dei subprime. Il 2015 potrebbe essere l’anno della svolta anche per le Pmi, soprattutto perché la restrizione del credito si sta allentando. Seguendo la strada imboccata dai big del settore, un numero sempre maggiore di istituti di credito sta mettendo a punto un’offerta dedicata alle piccole e medie imprese (per esempio Intensa Sanpaolo, vedere articolo nella pagina a destra) e un ulteriore sostegno dovrebbe arrivare dalle istituzioni.
La Cassa Depositi e prestiti, per esempio, ha siglato un accordo con la sua omologa tedesca, il KfW, per garantire finanziamenti pari a 300 milioni alle Pmi (più altri 200 milioni che sosterranno la realizzazione di progetti infrastrutturali ad alta efficienza energetica). Si attende poi che il “Piano per il credito alle Pmi” lanciato dalla Banca Centrale Europea nel giugno scorso dia tutti i suoi frutti. L’importanza che l’Eurotower assegnava al successo di queste misure era tutta racchiusa nelle parole del presidente Mario Draghi che, presentandole, ha detto: «Le Pmi ci stanno molto a cuore perché contribuiscono per l’80% all’occupazione nell’area dell’euro». Un’affermazione che per l’Italia assume particolare valore.
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In un quadro tutt’altro che roseo non mancano le note positive: in questi sette anni di recessione 3.472 Pmi italiane sono riuscite a raddoppiare il loro giro d’affari Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea: “Le Pmi ci stanno molto a cuore perché contribuiscono per 80% all’occupazione nell’area dell’euro” Secondo gli esperti, l’anno prossimo potrebbe esserci la svolta per le Piccole e medie imprese, soprattutto perché la restrizione del credito si sta allentando Si punta a migliorare i rapporti con la pubblica amministrazione semplificando procedure e adempimenti fiscali e il servizio di gestione elettronica delle fatture Nel delicato settore della meccanica di precisione le società italiane continuano a essere considerate una temibile concorrenza dai colossi tedeschi