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Nuovo tentativo di raccolta dati per i servizi in streaming

Anche i servizi in streaming stanno cercando di risolvere i problemi di copyright, soprattutto dopo che Spotify è stato colpito da due azioni legali, la prima lo scorso dicembre con la richiesta di 150 milioni di dollari, la seconda a gennaio per 200 milioni. Entrambe sono state portate avanti da gruppi di artisti che accusavano Spotify di non aver ottenuto le giuste licenze per utilizzare la loro musica «in una continua campagna di infrangimento deliberato del copyright».

La giustificazione di Spotify, spiega la rivista online Mashable, è stata che più che un’azione deliberata si è trattato del risultato di mancanza di dati, che spesso «mancano o sono sbagliati o incompleti». Per questo Music Reports, che si occupa proprio della raccolta di dati per servizi come Tidal, ha trovato un nuovo metodo per «portare più trasparenza in un problema vecchio di decenni». Ora chi pubblica la propria musica avrà più potere sui dati relativi, potendo controllare se sono aggiornati oltre a registrare nuovi lavori e chiedere le licenze di qualsiasi album in cui siano presenti le loro canzoni. Tutto questo sarà convalidato da 40 musicologi.

Uno dei problemi al momento è che esistono copyright diversi per chi ha scritto la canzone, e a volte si tratta di più autori, e per chi l’ha registrata. Finora, inoltre, i registri non erano pubblici proprio perché, ha spiegato il vicepresidente di Music Reports Bill Colitre, temevano di essere chiamati in causa. 

Nuova politica più tollerante sulla musica dal vivo Barcellona

Il municipio di Barcellona ha deciso di cambiare la sua politica sulla musica dal vivo. Ora i locali che vogliono proporre piccoli concerti non avranno più bisogno di una licenza, sia per quelli acustici che amplificati. Anche il coprifuoco sarà abolito nelle aree non residenziali, mentre in quelle più popolate sarà fissato alle 23. La politica è stata finora molto diversa, tanto che il Comune era considerato «ostile» dai proprietari di locali.

Molti avevano ultimamente dovuto chiudere o comunque ridurre l’offerta musicale e in alcuni casi attirare più turisti con il flamenco, che non ha a che fare con la Catalogna. Il sindaco di Barcellona Jaume Asens ha dichiarato: «Vogliamo che Barcellona diventi una città musicale come Amsterdam o Parigi». Un’altra misura è quella di offrire fondi ai locali per insonorizzarli: nel 2016 saranno 400 mila euro contro i 75 mila dell’anno scorso.

 

Brexit, che cosa comporterebbe l’uscita del Regno Unito per la musica live

Il 23 giugno si voterà nel Regno Unito per decidere se il Paese resterà nell’Unione europea. Le considerazioni su quanto comporterebbe una Brexit, come è stata battezzata dall’unione di Britain ed Exit, riguardano ovviamente anche il settore della musica dal vivo e la rivista Iq ha deciso di intervistare alcuni operatori riguardo agli scenari futuri.

Più difficoltà nell’organizzazione è una delle prime caratteristiche segnalate, ma il punto fondamentale per chi lavora nel settore è che molto, in quel caso, dipenderà anche dai 27 Paesi rimanenti nell’UE. «Dipenderà soprattutto da quanto vorranno rendere la cosa difficile. Se decideranno di rimettere i controlli alle frontiere e rendere necessari i visti questo potrebbe rallentarci moltissimo» ha spiegato per esempio il manager che si occupa di tour Tony Gittins, che ha lavorato fra gli altri con Simple Minds, Depeche Mode e Paolo Nutini.

Per altri, per esempio Rogier Lecluse della società di logistica olandese Saan Trucking, i problemi potrebbero riguardare anche le tariffe: «Il tasso di scambio diventerà ancora più importante. I guadagni sono in euro ma le spese sono pagate in sterline, i costi quindi saliranno». Non ci sarà invece influenza sul mercato domestico britannico.

Altri, come Danny Newby di Big Green Coach, sono più tranquilli: «Se usciamo dall’Unione europea non vuol dire necessariamente che chiuderemo i confini agli stranieri o che l’Europa chiuderà le frontiere ai britannici che viaggiano nei loro Paesi per andare a un festival musicale. Potrebbero esserci più controlli dei passaporti ma ci saranno ancora festival in Europa e gli inglesi vorranno ancora andare a festival non nel Regno Unito». 

Morto a 72 anni Frank Sinatra jr

Frank Sinatra jr è morto a 72 anni mentre era in tour a Daytona, in Florida. Il cantante, figlio di Frank Sinatra, ha avuto un arresto cardiaco secondo quanto dichiarato dalla sua famiglia sul sito Internet. Sinatra jr era nato nel 1944 dal leggendario padre e dalla moglie Nancy Barbato, da cui l’interprete di My Way si era separato sei anni dopo.

A 19 anni era stato rapito e rilasciato in cambio di un riscatto da 240 mila dollari. Dopo essere rimasto all’ombra del padre per diversi anni, Sinatra Jr ha raccontato di aver imparato come convivere con una figura così ingombrante fino a diventarne un collaboratore, nel 1988: «Mi chiese di condurre la sua band», cosa che Sinatra jr fece fino alla morte di suo padre, avvenuta nel 1998.

Da quel momento Sinatra jr ha continuato a interpretare i successi di suo padre. «Per me è un vero dono, canto con una grande orchestra e interpreto brani che non invecchieranno mai» aveva spiegato in un’intervista nel 2002.

I Red Hot Chilli Peppers sostengono Sanders con un jingle

La battaglia per eleggere il prossimo presidente degli Stati Uniti è già iniziata con le prime consultazioni primarie per decidere il candidato repubblicano e democratico. Come sempre, gli artisti sono scesi in campo per sostenere il loro preferito: lo hanno fatto anche i Red Hot Chilli Peppers, che hanno scelto Bernie Sanders, nello schieramento democratico.

Sanders non è fra i favoriti ma la band di Anthony Kiedis ha composto per lui un jingle, da usare durante la sua campagna elettorale. Si erano inoltre esibiti a gennaio a una raccolta fondi. Non solo: il bassista Flea ha espresso la sua opinione su Donald Trump. «Non penso che voglia essere presidente o che abbia qualche possibilità, penso che sia solo un tizio degno di un reality show che vuole ottenere attenzione».

Cyndi Lauper, dall’altra parte, sostiene l’unico candidato donna, Hillary Clinton, che se fosse eletta sarebbe la prima donna a entrare alla Casa Bianca non da First Lady, incarico che peraltro la Clinton ha già avuto fra il 1992 e il 2000 quando era al potere suo marito Bill.

Music Week, la classifica Under 30 è troppo “bianca”

La classifica della rivista Music Week sui trenta discografici e musicisti più influenti fra quelli sotto i trent’anni ha già causato una polemica: dopo i commenti sugli Oscar e i Bafta troppo “bianchi”, a cui cioè vengono premiati troppo pochi artisti neri, Music Week sembra avere lo stesso problema. Nell’elenco, infatti, ci sono solo due personalità appartenenti a un’etnia di minoranza nel Regno Unito.

Mark Sutherland, direttore della rivista, si è scusato dicendo che la classifica riflette la mancanza di diversità nell’industria discografica, ma altri siti hanno segnalato nomi che avrebbero potuto essere inclusi come quello della giornalista, presentatrice e dj Tiffany Calver.

I nomi in lista sono comunque molto giovani: due rappresentanti hanno 23 anni- Charlie Knox della Capitol Records ha partecipato a campagne come quelle per promuovere Sam Smith e 5 Seconds of Summer. Pete Simmons, di Universal Music Publishing, ha lavorato alla radio BBC 1 e ha ingaggiato nomi importanti per la casa discografica. 

Michelle Obama, nuova canzone con le star per i suoi progetti benefici

Michelle Obama si è dedicata alla musica, di nuovo. La First Lady porta avanti molti progetti per aiutare le ragazze con più difficoltà a studiare. Let Girls Learn è l’ultimo programma in ordine di tempo, e per finanziarlo la moglie di Barack Obama ha deciso di chiedere aiuto ad alcune artiste.

Così è nata la canzone This is for my Girls, che ora è al primo posto nella classifica della rivista Billboard Twitter Trending 140. Fra le interpreti ci sono Kelly Clarkson, Kelly Rowland, Missy Elliott e l’attrice e cantante Lea Michele. A dicembre Michelle Obama era scesa in campo personalmente per intepretare alcuni versi in chiave rap di un’altra canzone, Go To College, che come si capisce dal titolo spingeva in chiave ironica ad andare all’università. Sono 62 milioni, si stima, le ragazze che in tutto il mondo non hanno accesso all’istruzione.

Anche David Gilmour in concerto a Pompei

Non potevano mancare i Pink Floyd, o meglio un loro rappresentante, per la riapertura al rock dell’Anfiteatro di Pompei. David Gilmour dovrebbe infatti suonare nella location esclusiva, dove al momento si svolge solo qualche spettacolo di teatro o balletto, il 7 e 8 luglio. L’annuncio ufficiale dovrebbe arrivare nei prossimi giorni da parte del ministro Franceschini.

Questo sarà così il primo concerto di una nuova stagione, il secondo a essere annunciato dopo quello di Elton John che suonerà il 12 luglio. Il chitarrista tornerà sul luogo dove la band aveva girato un documentario nel 1971. Anche in questo caso l’evento potrebbe essere filmato, ottenendo così un ritorno economico maggiore rispetto a quello che può consentire l’affluenza allo show, per forza limitata.

Ecco come Instagram influenza le vendite musicali

Molti artisti, dagli attori ai cantanti, hanno profili sui social network e sembra per una buona ragione. Un’indagine Nielsen ha infatti analizzato i comportamenti di 3000 utenti di Instagram per capire come le loro abitudini siano influenzate dalla piattaforma dove vengono pubblicate immagini di ogni tipo.

Uno dei primi dati emersi, come spiega la rivista Billboard, è che chi utilizza di frequente questo social network spende in media il 42 per cento in più in album e concerti, e in generale passa il 30 per cento di tempo in più ad ascoltare musica. Fra i generi più amati ci sono poi il pop e il rap, rispettivamente con il 41 e il 39 per cento delle preferenze, tenendo conto che gli utenti potevano indicarne più di una.

Instagram resta anche il social più usato quando i fan si trovano a un concerto. Sono anche più disponibili a pagare per ascoltare musica in streaming, con una preferenza per Youtube. Per alcuni cantanti, poi, Instagram è un modo di fare ascoltare le prime note di una nuova canzone, che poi metteranno a disposizione a pagamento su altri canali.

Jay Z ritira la serie di album Blueprint dallo streaming

Jay Z ha deciso di non fare concorrenza a se stesso e ha ritirato i suoi album della serie Blueprint, pubblicati nel 2001, 2002 e 2009, da tutte le piattaforme online tranne Tidal. Il rapper ha infatti acquistato la compagnia di musica in streaming nel 2015 e ha così rinunciato a farsi pubblicità con altri mezzi come Spotify, Amazon, Apple Music e Itunes.

Proprio da Spotify è arrivato un commento preoccupato, da parte di un portavoce: «Speriamo che riporti presto i suoi dischi, in modo che i milioni di fan che ha su Spotify possano ascoltarli di nuovo». Molte canzoni, però, si possono sentire ugualmente perché sono presenti in raccolte come The Hits collection del 2010.

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