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La musica è (di nuovo) finita.

ANCORA una volta uno spettro si aggira per l'Europa e il mondo intero. Non è quello del comunismo e nemmeno quello di Marx, evocato da Derrida. È quello della musica. Passata indenne attraverso il postmoderno che, anzi, ne aveva permesso l'elevazione a un rango superiore dal momento che riteneva degna della medesima considerazione la cultura di massa tanto quanto quella elitaria, la musica rock rischia oggi la capitolazione. Il tema potrebbe apparire vecchio e, in effetti, lo è. Se pensiamo che ne parlava il musicista e musicologo Fred Frith già nel 1988 nel saggio Il rock è finito, ci rendiamo conto di quanto il tema sia appassionante e la discussione a riguardo ben lungi dall'essersi esaurita. Frith, infatti, diceva: "Sono ormai convinto che l'epoca del rock sia conclusa. Nata verso il 1956 con Elvis Presley, giunta all'apice verso il 1967 con Sgt. Pepper, morta intorno al 1976 con i Sex Pistols, si è rivelata come una fase transitoria nell'evoluzione della popular music del Ventesimo secolo più che una rivoluzione culturale di massa. Il rock è stato uno degli ultimi tentativi romantici di conservare forme di produzione musicale  -  l'interprete come artista, l'esibizione come condivisione  -  rese obsolete dalla tecnologia e dal capitale". La musica ha smentito le previsioni di Frith con la nascita del grunge. Nel 1991 esce infatti Nevermind dei Nirvana, un disco epocale, che porta il cosiddetto "rock alternativo" ai vertici delle classifiche e quindi a un pubblico di massa, come nemmeno il punk era riuscito a fare. Al contrario di quanto scriveva Frith, non soltanto "l'interprete come artista e l'esibizione come condivisione" erano ritornate centrali, ma anche i principi etici e politici a cui il grunge si accompagnava: antiautoritarismo, antimachismo, femminismo (molte le band femminili che nascono in questo periodo, le cosiddette "riot grrrls"). Il suicidio di Kurt Cobain nel 1994 segnò la brusca fine di un sogno: quello dell'underground che riesce a diventare il nuovo mainstream. Il grunge resta però l'ultima controcultura giovanile propriamente detta che si possa identificare e storicizzare in maniera chiara. Il fenomeno attuale degli hipster, infatti, non ha un'identificazione precisa in campo musicale. Non esiste una musica "hipster" se non nel senso che è hipster qualsiasi musica sconosciuta al pubblico di massa: per esempio se parlassimo di artisti hipster su questo giornale, gente come Julia Holter o Oneohtrix Point Never, cesserebbero di essere tali. Con questo arriviamo alla contemporaneità, luogo in cui, inevitabilmente, le cose si fanno più complicate. Chris Anderson, ex direttore della rivista Wired , ribalta quello in cui le aziende hanno per molto tempo creduto: nel 2006 con il saggio The Long Tail: Why the Future of Business is Selling Less of More spiega come in definitiva tutte le nicchie messe insieme costituiscano un mercato più ampio del cosiddetto "mainstream". La musica dunque sembrerebbe non essere mai stata così viva. Eppure forse non è così. Lo dice Simon Reynolds, uno dei critici musicali più influenti nel suo saggio del 2011, Retromania: "L'era pop in cui viviamo è impazzita per tutto ciò che è rétro e commemorativo. Gruppi che si riformano, reunion tour, album tributo e cofanetti, festival- anniversari ed esecuzioni dal vivo di album classici. E se il pericolo più serio per il futuro della nostra cultura musicale fosse il passato?". E aggiunge: "Potrà sembrare un proclama inutilmente apocalittico ma lo scenario che immagino, più che un cataclisma, è un esaurimento graduale. È così che finisce il pop: non con i bang del colpo di grazia, ma con un cofanetto celebrativo di un artista il cui quarto disco di inutili "alternate version" dei pezzi classici non trovi la forza di infilare nel lettore del cd". Due pericoli quindi si stagliano in maniera netta: un'offerta talmente grande da rendere impossibile per il fruitore orientarsi nel presente della musica e, come diretta conseguenza, un rifugiarsi nel passato, in quei nomi ormai conosciuti che costituiscono una garanzia. Damon Albarn (Blur, Gorillaz) in un'intervista recente a El Pais Semanal ne sottolinea un altro: "La musica non deve perdere la sua umanità. La cultura digitale elimina la differenza: tutto suona uguale e questo è male". Insomma se chiunque, grazie alla tecnologia, può simulare il suono di un'orchestra, non solo in futuro non ci saranno più orchestre ma la maggior parte dei dischi suoneranno simili nella loro perfezione campionata. Ne è convinto anche David Byrne, ex Talking Heads e autore del recente libro Come funziona la musica ( Bompiani): "La perfezione resa possibile da tali tecnologie della registrazione e della composizione può essere gradevole. Ma può anche essere troppo facile conseguire la perfezione metronomica in tal modo, e la perfezione a buon mercato è spesso ovvia, ubiqua e in ultima analisi noiosa". Un altro tema: l'incorporazione degli elementi caratterizzanti dei diversi generi musicali, il famoso "crossover" all'interno di uno stesso disco o addirittura di uno stesso brano. Ancora Reynolds: "Invece di esprimere se stessi gli anni 2000 preferiscono offrire un concentrato di tutti i decenni precedenti: una simultaneità della cronologia pop che abolisce la storia, erodendo l'autocoscienza del presente in quanto epoca dotata di identità e sensibilità proprie". Un tema che si potrebbe sintetizzare in una semplice frase del rapper Fabri Fibra, uno dei pochi artisti capaci di far emergere nelle suo opere il sentire contemporaneo: "Troppo di tutto oggi c'è troppo di tutto, che vita piatta!". Equi veniamo all'ultima parte del problema, la più esiziale. Scrive David Byrne in un articolo sul Guardian intitolato Internet succhierà via tutti i contenuti creativi del mondo : "Con i nuovi servizi di streaming il guadagno è di poche migliaia di dollari a fronte di milioni di ascolti di un brano. Ma il peggio è per gli emergenti: con queste cifre è impossibile sopravvivere". Insomma, oltre al citazionismo esasperato dal passato che di fatto annulla i generi, il sovraffollamento di artisti che rende difficile far emergere gruppi nuovi, l'appiattimento provocato dai campionamenti e dal suono digitale, sarà proprio l'abbondanza dell'offerta, la cosiddetta musica liquida tutta a nostra disposizione con un solo clic e senza più bisogno di possedere alcun supporto fisico, a distruggere, e questa volta per davvero, la musica? E forse non solo la musica perché lo stesso sta avvenendo per la tv, per il cinema e, tra poco, persino per i libri. C'è troppo di tutto? Siamo abituati a pensare alla musica come costante innovazione ma non è detto che sia così. Forse un ciclo è finito e oggi la vera innovazione sta nella tecnologia: di questi anni, in futuro, non ricorderemo tanto le band quanto i marchi che stanno provocando lo tsunami: iTunes, Spotify, Deezer, YouTube, Pandora, Last FM e ovviamente il versante dei social network, dove di musica si discute, Facebook, Twitter e gli altri che sicuramente verranno. Forse, come dice Harper Reed, hacker e al tempo stesso l'uomo che grazie ai big data ha fatto vincere le elezioni a Obama, "oggi la forza innovativa che aveva un tempo il rock ce l'hanno altre cose: la tecnologia è il nuovo rock e gli hacker e i programmatori che stanno scrivendo il mondo di domani le nuove rockstar".

 

fonte: Repubblica.it

Milano, TicketOne progetta l'arena concerti 'Palazzo delle Scintille' a Citylife

Potrebbe diventare - nel caso l'iter di assegnazione del bando dovesse avere l'esito auspicato - un punto di riferimento per la musica live (e non solo) nel centro della città di Milano - dove da tempo promoter e addetti ai lavori lamentano la mancanza di uno spazio del genere - il nuovo Palazzo delle Scintille, struttura concepita per occupare l'ex padiglione 3 della Fiera Campionaria di viale Cassiodoro, a ridosso di Citylife: ad aggiudicarsi temporaneamente la gara per la gestione dell'area è stata TicketOne, società italiana leader nel settore del ticketing e dell’entertaiment. Il progetto presentato prevede la realizzazione di un’arena-anfiteatro da 13.500 posti, dove troveranno spazio aree tematiche e spazi destinati alle famiglie oltre a una Kunsthalle che ospiterà eventi, mostre, ed esposizioni un caffè letterario e un attività di ristorazione aperte alla città.

“La missione di TicketOne è da anni quella di facilitare l’avvicinamento del pubblico agli Eventi ed alla Cultura attraverso le tecnologie, l’e-commerce, la comunicazione ed una rete di distribuzione capillare presente in tutto il Paese", ha dichiarato Stefano Lionetti, Amministratore Delegato di TicketOne: "Per questo motivo abbiamo ritenuto importante e coerente presentare al Comune un progetto per la gestione di uno spazio che potrà essere centrale nella vita della città proprio con riferimento ai temi che sono oggetto delle nostre attività di tutti i giorni. Siamo estremamente lieti dell’esito della gara e del riconoscimento che viene dato al progetto. Siamo cresciuti molto negli anni, non solo nel fatturato e nei volumi, ma soprattutto nell’esperienza fatta relazionandoci con il pubblico e con numerosissimi partner e controparti. Tutto questo consente oggi alla nostra struttura di disporre di un bagaglio ineguagliabile di relazioni e conoscenze che verranno messe a completa disposizione del progetto insieme alla inesauribile voglia di fare di tutti i nostri collaboratori”.

fonte: rockol.it

Londra, il sindaco Boris Johnson in supporto ai musicisti di strada


Il conflitto istituzional-cittadino, visto dall'altra parte della Manica, sembra del tutto locale, ma la dice piuttosto lunga sugli indirizzi che le cariche cittadine possano dare su uno degli aspetti musicali più quotidiani nelle grandi città, cioé il busking, vale a dire suonare agli angoli delle strade cercando di attirare l'attenzione - e perché no qualche offerta - da parte di passanti. Pratica da decenni estremamente diffusa all'estero, soprattuto nelle metropoli anglo-americane, dove come musicisti di strada hanno mosso i primi passi figure che poi sarebbe divenute di primo piano sul panorama musicale mondiale (da Rod Stewart a B.B. King, passando per Jewel e moltissimi altri), nonostante l'avvento del Web e di Youtube come (più comoda) vetrina mondiale il busking non ha perso piede nella Capitale britannica, anzi. Il fenomeno è ancora talmente diffuso da risultare ad alcuni addirittura fastidioso. Tanto fastidioso da portare la circoscrizione di Camden - una delle più ricche di locali della metropoli sulle sponde del Tamigi, a varare una speciale ordinanza anti-busker che prevede, tra le altre cose, la confisca degli strumenti ai musicisti di strada sorpresi dalla polizia ad esibirsi senza permesso.
Il provvedimento è piaciuto pochissimo a Billy Bragg e ad altri artisti, che subito si sono imbarcati in una campagna di protesta nei confronti dell'ordinanza sposata adesso - riferisce l'edizione online del New Musical Express - anche dal primo cittadino londinese Boris Johnson: "Il crescere di paletti e di leggi il più delle volte confuse porta i musicisti di strada a non capire più dove possano esibirsi", ha spiegato il sindaco, "In alcune parti della città sono in vigore leggi che obbligano gli artisti a farsi carico del pagamento di occupazione di suolo pubblico, pena multe molto elevate insostenibili per i busker". Il via alla campagna è stato dato proprio in queste ore, quando - su permesso dello stesso sindaco - in tutta Londra, dai mezzi pubblici alla O2 Arena, passando per la cattedrale di St Paul, centinaia di busker si stanno esibendo nell'ambito di una manifestazione coordinata dallo staff di Johnson. Senza, per una volta, temere di vedersi confiscata l'unica fonte del proprio reddito...

 

fonte: rockol.it

Le 10 regole per organizzare il concerto perfetto

Lui, Andrea Pontiroli, è quello che nel 2005 si è inventato il Magnolia, forse la novità più interessante dell'ultimo decennio per quanto riguarda la musica dal vivo a Milano. Ed è quello che, insieme ad altri operatori culturali della città ha creato Santeria, spazio polivalente che è contemporaneamente caffetteria, galleria d'arte, concept store e molto altro. Ha anche organizzato il celebre concerto pro-Pisapia che ha chiuso la campagna elettorale meneghina nel maggio 2011, ed è a capo di un'agenzia di booking e management musicale.

Il suo libro, Un concerto da manuale - Soluzioni semplici per organizzare spettacoli (304 pagine, 14 euro), è quanto di più esaustivo sia mai stato pubblicato in Italia riguardo l'organizzazione di concerti in tutti i suoi aspetti: artistici, organizzativi, legali, promozionali, economici. Tutti, sul serio, anche quelli che nemmeno immaginavamo esistessero. Potrebbero trovarlo assai utile sia i neofiti che sognano un futuro da promoter, sia coloro che queste cose già le fanno, magari cadendo in fallo di tanto in tanto.

Ma non immaginatevi un mattone illeggibile: Pontiroli affronta la stesura del manuale con chiarezza esemplare e provvidenziale ironia (come superare indenni, altrimenti, un capitolo minacciosamente intitolato S.I.A.E., E.N.P.A.L.S., S.C.F.?), incorporando anche gli interventi di una lunga serie di figure professionali coinvolte nella faccenda - band, uffici stampa, etichette discografiche, light designer, fonici, light designer, direttori artistici, hospitality manager, esperti di economia e di produzione di eventi - e la prefazione di Enrico Molteni dei Tre Allegri Ragazzi Morti.

In occasione dell'uscita del volume nelle librerie, gli abbiamo chiesto le dieci regole per organizzare il concerto perfetto. Eccole.

1. Mangiare un’idea
" Parte tutto da una semplice idea, che deve essere lo stimolo, il sogno, la visione di quello che vuoi fare. Prendi tutto quello che per giorni crei nella tua testa, lo fai scontrare senza pietà con la realtà dei fatti e avrai l'idea chiara, pulita da eccessi e carica di pragmatismo, che stavi cercando."

2. Missione impossibile, ma per tutti
" Sapere molto bene le difficoltà e le economie che andranno affrontate, e condividerle con tutti coloro che parteciperanno al tuo evento. Solo così ogni figura sarà responsabilizzata e sarà motivata a superare ostacoli e a mettere tutta la propria professionalità per un fine comune."  

3. Squadra d’attacco e di attacchinaggio
" Avere i numeri giusti significa scegliere le persone adatte per ogni mansione, attirare talenti e metterli alla prova sul campo, creando uno staff competente e motivato che lavori insieme per curare tutti gli aspetti dell'evento: dalla gestione economica alla promozione, passando per l'area tecnica e quella della somministrazione, non trascurando nulla."

4. Just a perfect day
" Il caso deve essere dalla tua parte. Senza contattare maghi e indovini, con un po' di esperienza, e avendo ben presente il calendario della città e del territorio, puoi azzeccare il giorno adatto evitando il poltergeist di calamità naturali e metereologiche o la compresenza di altri quindici eventi imperdibili proprio quel giorno alla stessa ora."

5. Dove lo facciamo
" La location aggiunge molto all'evento stesso e può decretarne il successo o il fallimento, perché ogni luogo ha i suoi perché e i suoi perché no. Valutare tutto e tenere presenti l'acustica (per un concerto è tutto), la familiarità del pubblico con quella zona e quel locale, se sono raggiungibili e come, la facilità con cui si può parcheggiare, la predisposizione dei punti bar e delle uscite di sicurezza. Valutare se la location ha una sua storia o è un contenitore vuoto."

6. Come lo chiamiamo, come lo diciamo
" Azzeccare il nome, mettendolo al di sopra di pregiudizi lessicali o speculazioni pubblicitarie. Costruirci intorno la grafica, coordinandone l'immagine per tutto quello che sarà l'aspetto visivo dell'evento (dai flyer promozionali alla cartellonistica, agli allestimenti dei palchi). Lavorare con un ufficio stampa, e orizzontalmente sedurre il web, costringendolo a parlare del tuo evento senza obbligarlo. Il passaparola rimane lo strumento migliore."

7. Diventare bipolari
" O come un Giano bifronte essere allo stesso tempo pubblico e organizzatore. Se c'è un biglietto d'ingresso, da pubblico vorrai essere trattato di conseguenza, dai servizi di guardaroba al bar fino all'accesso ai bagni. Da organizzatore vorrai che tutto fili liscio come l'olio. Con un grande lavoro e tanta attenzione per i dettagli, con un grande rispetto per tutti quelli che hanno scelto la tua serata invece di andare da un'altra parte o stare in casa, riuscirai ad arrivare alla fine del tunnel."

8. Non sbagliamo i conti altrimenti sono guai
" Non tutti sanno fare di conto, ma non esiste concerto che non preveda una contabilità e molteplici aspetti fiscali, dall'ENPALS alla SIAE, passando per aliquote e fatture. Un piano economico serve a capire se tutto quello che si sta facendo sta in piedi, e quali sono i rischi e i possibili guadagni. Se non è proprio il tuo pane quotidiano fatti affiancare da un commercialista, ché un segno + o - fa la differenza."

9. Chi ha fretta perda tempo
" La produzione di un evento richiede parecchio tempo oltre a quello che si impiega per far di conto, chiedere e ottenere permessi e licenze, contattare assicurazioni, mettere sotto contratto tutti gli operatori e assicurarsi che tutto avvenga nelle regole. Poi viene l'evento, che ha i suoi tempi, che devono essere preparati e apparecchiati a dovere. In molti casi un artista va accolto, gli va dato del tempo per provare, va seguito per tutto quello di cui ha bisogno e messo sul palco al momento dell'esibizione. Perdere tempo a volte serve a ricordarsi che alla fin fine lo spettacolo è la parte centrale del tuo lavoro, se manca quello possono stare tutti a casa."

10. La tensione non finisce mai
" Fino alla fine non bisogna dare nulla per scontato: schegge impazzite, gestione della sicurezza troppo autoritaria o rilassamento al momento sbagliato possono compromettere tutto. Nessuno deve farsi male, né chi lavora né chi assiste. Lo spettacolo deve essere tale per tutti, e l'ultima cosa che deve accadere è sempre la più brutta, quindi mai abbassare la soglia di attenzione, mai sottovalutare indizi, tracce, sentori che possono segnalare qualcosa in divenire. Alla fine the show must go on, ma le persone vanno rispettate in tutto e per tutto sempre."

 

fonte: wired.it

Il 'museo dei Beatles' raggiunge i 250.000 visitatori l'anno

Molti lo chiamano "il museo dei Beatles" anche se in realtà il nome ufficiale è Beatles Story. Ma anche con quest'ultima denominazione il posto è, di fatto, proprio il museo dei Beatles e comunque quello con il maggior numero di "memorabilia" dei Fab Four aperto al pubblico. E quest'anno, per la prima volta dall'inaugurazione del 1990, Beatles Story di Liverpool ha raggiunto la ragguardevole cifra di 250.000 visitatori. Il traguardo è stato toccato durante l'anno fiscale 2013/2014 quando, più esattamente, attraverso le sue porte sono passati 254.451 tra fan, turisti e curiosi; un buon aumento dal 2011/'12, quando erano state registrate 249.832 presenze. Il mese più preso d'assalto è stato luglio, quando una giornata ha fatto registrare 1996 visitatori, circa 222 all'ora. Martin King dell'edificio sull'Albert Dock ha affermato che nei prossimi anni si attende un aumento delle cifre.

 

fonte: rockol.it

UK, See Tickets e PayPal creano la 'app perfetta' per chi va ai concerti

Gary Barlow, Ellie Goulding, Interpol, John Newman, Frank Turner, i Saturdays, Alex Clare e Elli Ingram sono tra i primi artisti Universal a collaborare con Gig Buddy, una app per cellulari che See Tickets, l'agenzia di ticketing di Vivendi, ha lanciato in collaborazione con PayPal. Destinata agli spettatori dei concerti e disponibile tanto in versione iOS che Android, Gig Buddy consente ai fan di acquistare biglietti in anticipo e di pianificare/riservare mezzi di trasporto, alberghi e ristoranti in cui cenare prima o dopo lo show, ma anche di farsi recapitare a casa magliette, cappellini e felpe ufficiali che si desidera indossare durante lo spettacolo. I gruppi e gli artisti che collaborano con la piattaforma si impegnano inoltre a fornire contenuti esclusivi agli utenti durante e dopo il concerto.
"Negli ultimi dodici mesi abbiamo registrato una crescita fenomenale dei nostri mobile ticket stores, in misura tale che per alcuni eventi le vendite attraverso i cellulari superano il totale di quelle effettuate via desktop e tablet", spiega il direttore commerciale di See Tickets Martin Fitzgerald. "Abbinata alla facilità di acquisto consentita da PayPal, la disponibilità sulla piattaforma di Gig Buddy del nostro intero inventario costituito approssimativamente da 40 mila eventi non farà altro che accelerare questa crescita". "Attraverso la app", aggiunge Mark Brant di PayPal UK, "si può scegliere se pagare attraverso il proprio conto PayPal, il conto corrente bancario, un bancomat o una carta di credito senza dover condividere i propri dettagli finanziari".
Gig Buddy è stata creata e sviluppata dal team di RE:SYSTEMS, già ideatore di app come Heathrow Express e BT London Live. "L'applicazione", ha spiegato l'Head of Mobile Nick Gallon, "offre una fantastica opportunità agli appassionati di musica di ogni genere di scoprire e godersi i concerti dei propri artisti preferiti, pianificando tutte le attività correlate".

 

fonte: rockol

Eugenio Finardi, 'Palco aperto': 'Creatività giovane, un mondo da esplorare'

Ha deciso di fare scouting a modo suo, Eugenio Finardi, per scegliersi in completa autonomia le "spalle" da invitare ad aprire i suoi concerti. L'idea di Palco Aperto, iniziativa alla quale possono aderire le band di tutta Italia i cui dettagli sono disponibili sul sito ufficiale dell'artista, si può riassumere così: mandate al cantautore il link con la vostra cover di una sua canzone e - se gli piacerà - vi inviterà a suonare prima di lui - e a duettare sul brano che avete scelto - quando il suo tour passerà dalle vostre parti. L'esperimento ha funzionato: fino ad oggi, all'iniziativa hanno aderito in media 15 tra band e artisti a tappa, con una punta di oltre 20 per l'appuntamento di domani sera a Torino all'Hiroshima Mon Amour, che ha visto spuntarla i Turin Ukulele Orchesta. E la stessa affluenza - se non superiore - è attesa per le prossime date su piazza importanti, in particolare a Milano, dove Finardi sarà di scena il prossimo 10 aprile al Factory.
Poteva restare un'iniziativa confinata in ambito social, ma alla voce di "Extraterrestre" questa campagna ha aperto gli occhi sulla realtà minori italiane. Che poi, per quello che è il suo parere, così minori non sono. Anzi.
"C'è tutto un mondo, là fuori, di gente che si dà da fare, che ha uno straordinario talento e che pure è invisibile", ci ha spiegato lui: "L'industria musicale è in completa agonia, e - pure - in giro c'è sempre più creatività". E Finardi l'ha toccata con mano: "Lo si capisce anche solo dai video, girati in posti strani, non convenzionali. E anche dalle formazioni che partecipano a Palco Aperto: nessuno, fino ad oggi, è salito sul mio palco con la classica line up voce - chitarre - basso - batteria. La cosa più straordinaria, però, è vedere cosa muove questi ragazzi: la passione. Ormai c'è solo quella...". Perché si dice che i periodi di crisi, alla fine, siano anche i più creativi... "In effetti un legame c'è", osserva lui: "Un tempo, innanzitutto, chi voleva intraprendere un certo tipo di strada si trovava di fronte ad uno scenario molto più definito, con passaggi obbligati e tutto il resto. Poi adesso a cosa serve cercare di inseguire la fama e il successo, quando si sa che fama e successo ormai non vengono più garantiti dall'adesione ai canoni tradizionali imposti dalla discografia?".
Ci si rivede, Finardi, in questi ragazzi? "Con questa generazione, oltre alle inevitabili differenze, sento anche grande affinità: c'è da dire che oggi i giovani hanno un legame con il passato che per noi era impensabile...". Forse per una sorta di "pacificazione generazionale" impensabile qualche decennio fa? "In un certo senso sì: chi - come me - era giovane negli anni Settanta ha rappresentato per certi versi il culmine di un'esperienza che poi è andata esaurendosi. E poi siamo stati l'ultima generazione ad avere un futuro. In un certo senso è straniante vedere giovani che hanno gli stessi punti di riferimento - per esempio, i Led Zeppelin - che avevo io. Poi è da qualche decina d'anni che ci aspettiamo quel qualcosa che sposti musicalmente il baricentro di tutto, che sia veramente rivoluzionario: ci sembra sempre di essere ad un punto di svolta che però, puntalmente, non arriva mai. E forse le cose sono legate. Anche se ormai penso che quello che sostituirà il rock and roll non arriverà certo da noi, ma nemmeno dall'America o dall'Inghilterra: probabilmente arriverà dalla Corea, o dal Maghreb, o dall'India, o comunque da posti dove la maggior parte della popolazione ha meno di trent'anni".
C'è un futuro, nonostante tutto, per la musica italiana? "Certo che c'è: bisogna solo cercarlo nei posti giusti. Prendiamo i rapper, per esempio: quello dell'hip hop è un linguaggio che qualcuno si ostina a considerare nuovo ma che in realtà ha già quasi quarant'anni. E io invidio il coraggio che hanno i rapper, la loro capacità di fare nomi e cognomi nei loro testi, ti prendersi tutti i rischi del caso. La domanda che mi fanno sempre è se esista ancora la musica ribelle. Io rispondo sempre di sì, ma di non andarla a cercare dai cantautori...".

fonte: rockol.it

Rapporto IFPI: nel 2013 Italia secondo mercato musicale mondiale per crescita

Presentata in estrema sintesi, l'informazione parrebbe almeno inverosimile, perché accostare le parole "Italia", "mercati" e "crescita" da una ventina d'anni buoni a questa parte pare praticamente impossibile. Eppure, secondo un rapporto pubblicato ieri dall'International Federation of the Phonographic Industry, associazione di categoria internazionale dei discografici - che, tanto per non lasciar spazio a dubbi, di pesci d'aprile non è solita farne - l'Italia nel 2013 ha fatto segnare la seconda migliore prestazione mondiale - dietro solo alla Corea del Sud - in quanto a crescita del proprio mercato musicale.
Il dato è emerso nella ricerca annuale sui 50 principali mercati nazionali musicali, che vede il nostro Paese, ormai da qualche anni, fare parte dell'ideale G10, ovvero delle dieci economie più importanti per il musicbiz mondiale.
In testa, per volume d'affari, ci sono ovviamente gli Stati Uniti, con 4,4 miliardi di dollari di valore in incremento, rispetto allo scorso anno, di uno striminzito 0,8%: sul secondo gradino del podio si issa il Giappone, che vede però il proprio girò d'affari contrarsi del 16,7% fino a poco più di tre miliardi di dollari.
La prima grande sorpresa la si incontra sulla terza piazza: la medaglia di bronzo, solitamente appannaggio del Regno Unito, quest'anno passa alla Germania, che con un mercato da 1,37 miliardi di dollari (in crescita dell'1,1%) costringe gli inglesi, con un volume d'affari da 1.30 miliardi (pur in crescita del 2,2%) ad accontentarsi del quarto posto.
La Francia rimane stabile al quinto posto, con un "giro" da 956 milioni di dollari in crescita 1,3%, davanti a Australia - che crolla dell'8,4% a 430 milioni di dollari fermandosi al sesto posto - e Canada, dove un calo del 2,5% fa fermare il volume d'affari a 424 milioni. L'altra grande sorpresa, appunto, la si incontra in ottava posizione: l'Italia, pur con soli 238 milioni di dollari di valore di mercato, ha fatto segnare una crescita dell'8,3% annui, superiore a quella del paese che la segue - il Brasile, che addirittura cala dell'1,1% negli scorsi 12 mesi fermandosi a 228 milioni di dollari) - e seconda solo alla Corea del Sud, la tigre asiatica del K-pop, che con un mercato da 211 milioni di euro ha fatto segnare una crescita, nel 2013, del 9,7%.

 

fonte: rockol.it

Radio in Italia: servirebbero davvero le 'quote azzurre'? I numeri

La questione - ricorrente, tra gli addetti ai lavori, e puntualmente ispirata a una (controversa) normativa francese che dal 1994 impone alle emittenti radiofoniche transalpine una quota del 35 % nella programmazione musicale di brani cantati in francese - è stata riproposta, recentemente, dagli Amici della Musica, associazione supportata da Audiocoop fattasi promotrice di una campagna (sottoscritta da artisti come Piero PelùEugenio Finardi e Piotta) che si propone, nell'ambito di un "contratto di servizio" stipulato con la Rai e con i maggiori network privati, di imporre una quota pari al 40 % di musica italiana all'interno della programmazione quotidiana, con un ulteriore 20 % destinato alla promozione di giovani talenti.

I responsabili dei palinsesti delle emittenti nazionali - lo abbiamo verificato qualche tempo fa - non hanno dimostrato entusiasmo, appellandosi alla libertà, garantita dall'ordinamento attuale, di avere le mani libere (e di rispondere, quindi, solo ai propri editori e ai propri ascoltatori) nel compilare la programmazione.

Fino ad oggi, però, nessuno si è mai preoccupato di andare effettivamente a verificare quanta musica italiana viaggi sull'etere e rimbalzi sulle casse degli impianti di auto, negozi e case nella Penisola: la domanda, Rockol l'ha posta a Earone, società di rilevamento radiofonico che dal 2008 monitora - quotidianamente - l'andamento delle programmazioni dei network che operino nel nostro Paese.

Per verificare le percentuali di musica italiana e straniera trasmesse dalle radio nazionali è stato preso in esame un intervallo temporale compreso tra il 31 gennaio del 2014 e lo scorso 20 marzo, andando a esaminare il numero di passaggi delle canzoni presenti nella top 100 dei brani in rotazione sui maggiori network nazionali (per alcune settimane il totale di brani è superiore a 100, per tenere conto degli ex aequo).

Tra il 31 gennaio e il 6 febbraio scorsi, su un totale di 111 brani distribuiti tra 67702 passaggi, 38 canzoni italiane hanno totalizzato 22734 passaggi, mentre 73 canzoni straniere ne hanno accumulato 44968: in percentuale, la produzione made in Italy ha occupato il 34% del repertorio trasmesso e il 34% dei passaggi totali, lasciando le restanti percentuali - identiche, del 66% - alla produzione straniera: nelle due settimane successive - quelle comprese tra il 7 e il 20 febbraio - la situazione è rimasta pressoché identica, con un campione di brani numericamente molto simile, rispettivamente di 112 e 105, diviso in 33% (su titoli e passaggi) di canzoni italiani e di 67% di produzione straniera.

Al (quasi) pareggio ci si è arrivati nella settimana tra il 21 e 27 febbraio, quella successiva al Festival di Sanremo: l'"effetto Ariston" ha spostato l'equilibrio a favore della produzione nazionale con - su un totale di 106 canzoni ruotate in top 100 distribuite in 69840 passaggi - poco più di 40% di brani italiani e poco meno del 60% di stranieri. Si torna, a piccoli passi, alla situazione pre-sanremese solo sette giorni più tardi: tra il 28 febbraio e il 6 marzo, al fronte di 104 brani spalmati su 69592 passaggi, poco più del 38% ha interessato musica di produzione nazionale, contro poco meno del 62% riservato alla produzione straniera.

La tendenza si consolida nella settimana successiva, quella compresa tra il 7 e il 13 marzo, e la forbice tra produzione nazionale e straniera torna ad allargarsi. Ancora 104 i brani passati dalla top 100, 69358 il totale dei passaggi, con un dato però lievemente diverso rispetto a quelli fatti segnare nelle precedenti settimane: la percentuale di titoli italiani sul totale è stata del 35%, facendo segnare però un 37% sul totale dei passaggi, al fronte del 65% di brani stranieri presenti della top 100 dei più trasmessi fermatisi, però, al 63% della percentuale sui passaggi. In pratica, le canzoni italiane, tra il 7 e il 13 marzo, sono state numericamente meno rispetto alla concorrenza straniera, ma - in proporzione - sono state più trasmesse.

E il trend non muta, se non per un lieve spostamento a favore del repertorio tricolore, anche nell'ultima settimana presa in considerazione, quella compresa tra il 14 e 20 marzo: 107 i brani presenti della top 10 delle emittenti monitorate, per un totale di 68657 passaggi dei quali 26478 sfruttati dalle 40 canzoni italiane trasmesse, e 42179 appannaggio delle restanti 67 opere straniere. Vale a dire, traducendo in percentuali, che la produzione ha abbia occupato il 37% dei titoli e il 39% dei passaggi, contro - rispettivamente - il 63 e 61 della produzione internazionale.

 

fonte: rockol.it

Concerti, Rolling Stones a Roma: già bruciati 50mila biglietti

 

E' già record il concerto che i Rolling Stones terranno il prossimo 22 giugno al Circo Massimo, a Roma: a sole due ore dall'apertura delle prevendite gli organizzatori dell'evento hanno comunicato di aver già staccato - virtualmente - 50mila tagliandi per l'unico passaggio nella Penisola di Mick Jagger e compagni. Al momento in cui stiamo scrivendo, le 15 di venerdì 21 marzo, la pagina di TicketOne presso la quale è possibile acquistare i biglietti non segnala più la presenza di ingressi disponibili.

A tempo di record la maggiori piattaforme di secondary ticketing sono state letteramente sommerse da offerte di tagliandi a prezzo maggiorato: sempre alle 15 di venerdì 21 marzo Seatwave, per la data degli Stones a Roma, segnala la disponibilità di 684 biglietti a prezzi che oscillano dai 141 ai 6400 euro (per un posto nell'area pit). Più o meno identica - per disponibilità e prezzi - la situazione su Viagogo, dove gli ingressi all'area pit costano "solo" poco più di 3500 euro.

 

fonte: rockol.it

 

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